In questo artiocolo per Cosmopolitan italia, io e @missveronic approfondiamo il tema della Sindrome di Wendy, meglio nota come “Sindrome della croscerossina”, parlando di dinamiche, patologie e consigli per uscire da una relazione tossica
Viene chiamata anche “sindrome della crocerossina” e indica la persona che si sacrifica per qualcun altro, sperando che prima o poi, cambi e si accorga dell’impegno speso.
Nella favola di Peter Pan, Wendy Darling è la bambina che risponde ai bisogni dei fratelli e dello stesso Peter Pan. Lei aspetta e cuce, mentre gli altri giocano e si divertono, posponendo i propri bisogni in favore del benessere altrui. Nelle relazioni di coppia, il tipo di sacrificio che attuta chi veste di panni di Wendy può avere diverse forme: da un disimpegno del proprio tempo libero per sostenere il partner, fino ad aspetti di rinuncia importanti e patologici in termini economici, di tempo e personali”. Questo malsano e sbilanciato bisogno di aiutare eccessivamente non ha nulla a che fare con un sano altruismo. Anzi spesso fa male alla relazione, perché attiva e nutre una dipendenza affettiva.
Sono da ricercare nella primissima infanzia, quando si ha sofferto dell’assenza dei propri genitori. E questa mancanza di una figura adulta può aver portato ad assumersi responsabilità “da grandi” per cercare di riequilibrare i disequilibri. C’è anche chi è stato iper protetto e questo invece di renderlo forte e sicuro ha fatto scattare un effetto contrario: non sono capace, non sono abile, quindi non sarò mai autonomo e indipendente. Chi soffre di questa sindrome sente di valere solo quando fa qualcosa di utile per gli altri. Alla base di questi comportamenti di totale disponibilità e sacrificio, c’è una scarsa autostima di sé. Non si percepisce il proprio valore e si aspetta che sia il partner a riconoscerlo, anche come segno di gratitudine per tutto lo sforzo fatto. Metaforicamente, come Atlante porta sulle spalle il Mondo, la persona che vive la sindrome di Wendy, sopporta il peso della relazione, sperando di alleggerirsi in un futuro e di essere riconosciuta e amata per quello che è, non per quello che fa. Può succedere anche di fare progetti sul partner, di eleggerlo a “il/la compagno/a della vita” e quando si scopre che invece non è così, perché la relazione è disfunzionale, non ci si riesce a sfilare dal ruolo di salvatrice. Anzi in virtù di questa fantasia, si sopporta sperando nel magico cambiamento dell’altro – cambiamento che di solito non accade – arrivando a fare e non fare cose lontane dai propri desideri. Come ad esempio, negarsi l’idea di avere un figlio o di sposarsi perché l’altro non lo vuole.
Oltre a preoccuparsi in modo smisurato delle esigenze e dei problemi del partner, questo sentirsi imprescindibile e salvatrice porta a far dimenticare quasi del tutto le proprie esigenze, bisogni e necessità, mettendoli sempre in secondo piano. Tutto diventa eccessivo: l’abnegazione, la pazienza, la generosità, la tolleranza, il sacrificio di sé, perché si inizia a pensare se non si è presenti, non si è disponibili tutto andrà male. Anche se sono persone con una bassa autostima e con uno scarso valore di sé, in realtà per sopportare e supportare tutto questo, c’è una grande determinazione con risvolti autodistruttivi. Perché ci si continua a sacrificare e ad esserci sempre, anche quando si è stanche ed esauste, mosse dalla speranza che il giusto riconoscimento arrivi. È interessante notare come molte persone vivano questa sindrome arrivando al limite della sopportazione della relazione e magicamente, attraverso un “grazie” o un presente ricevuto una volta ogni tanto, scordino tutto il dolore sopportato finora e che si ripresenterà a breve”.
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